Conobbi Michelle in una giornata di febbraio, in una di quelle fredde mattinate in cui l’ideale sarebbe rimanere a letto. Pochi gradi, a spasso per la città con l’unica magra consolazione di mostrare un paltro appena comprato. Avevo da poco finito l’università, ma, dato che una laurea in comunicazione in questo paese non ti garantisce granchè, le settimane passavano ed io ero sballottato da una società all’altra, in cerca di quello che potesse rappresentare finalmente un punto d’arrivo.
Le entrate del mio primo libro erano ormai finite, dilapidate in alcool e notti brave – come scriverebbe mia madre – ed io non ero altro che un 26enne in giro per Brescia, in cerca di un qualcosa che potesse porre la parola fine alla mia ricerca.
Era un periodo particolarmente noioso, di quelli passati in libreria a cercare nuovi stili, o a Milano a rincorrere i soliti soggetti, che, dopo averti ubriacato di parole solo pochi anni prima, avevano anche loro asciugato i propri bicchieri.
“Poco male”, pensavo tra me e me. Dopotutto non era la prima volta che reinventavo me stesso, e sicuramente anche in questa occasione non avrei faticato a ritrovare la mia strada. Quella strada che mi aveva portato a fare la scelta di uscire di casa molto giovane, e che, oggi, nonostante rappresentasse una soluzione molto appetibile, non avrei mai messo in dubbio ripresentandomi davanti ai miei, dato che avrebbe rappresentato per me un fallimento e avrebbe reso soddisfatte troppe persone.
“Non sei abbastanza maturo per andare a vivere da solo”. Erano queste le parole che mi sentivo ripetere ogni giorno, da una famiglia interessata non solo al fatto che non buttassi via la mia vita, ma anche un talento che, probabilmente, avrei dovuto preservare meglio.
Avevo scelto di iscrivermi a Lettere moderne, per poi capire, dopo pochi mesi, che non si trattava dell’ambiente a me ideale. Io che fin dall’età di 5 anni avevo deciso che avrei voluto intraprendere la professione di scrittore, come avrei potuto passare giornate e giornate a studiare le origini delle parole, senza effettivamente prendere in mano una penna e dare vita alla mia fantasia?
A 21 anni, durante un’altra delle crisi esistenziali della mia vita, decisi di iniziare a buttare giù qualche idea, giusto per colmare almeno in parte quella voglia irrefrenabile che avevo di sfogarmi. Era ancora il periodo in cui mi davo un tema e iniziavo a scrivere, riempiendo quello schermo con i miei pensieri, le mie paure e tutta la mia energia. Giornate in camera, sdraiato sul letto, con le dita che scorrevano velocemente sui tasti, a raccontare una parte di me, quello che volevo diventare e come vedeva il mondo un giovane del XXI secolo.
Da lì a breve tutto fu veloce: giornate in giro per l’Italia a parlare con personalità, presunti esperti o semplicemente gente piena di soldi. Ricordo la difficoltà di quel periodo a studiare, impegnato come ero a completare il mio primo romanzo, a organizzare il mio calendario e a pensare come sarebbe stata la prima versione in inglese.
Proprio il contrario di allora, che trascorrevo giornate seduto ai piedi del Duomo nuovo, con il naso verso il cielo, in attesa di un’idea che tardava ad arrivare.
Il tempo passava proprio velocemente, e non avrei mai immaginato di trascorrere pomeriggi assieme agli anziani, ammirando i progressi della metropolitana. Passeggiate a spasso per il centro, lungo il ring, a fissare i resti romani o a cercare qualche nuovo locale da proporre ai miei amici. La noia di quelle giornate alleviata solamente da qualche incontro ‘particolare’ in centro, o l’inaugurazione della Freccia Rossa.-
– Ciao, cosa fai di bello? – Mi chiese uno strano tizio, vestito come se dovesse andare in una festa dell’ottocento, con un taglio in testa che ti farebbe venire voglia di estendere l’oltraggio al pudore anche ai parrucchieri, artefici di quel risultato.
– Cazzeggio allegramente – la mia risposta. – Posso farlo con te? – Domando ingenuamente quel giovane, che scoprii chiamarsi Fabio e che riuscii a scollarmi non senza difficoltà. I capelli se li tagliava da solo, nelle pause pranzo che aveva tra i turni come magazziniere, presso un’Esselunga lì vicino.
Avete presente quei giorni in cui pensi che ti saresti dovuto solamente accontentare di quella situazione di stallo, e che nulla avrebbe mai potuto turbare quella quiete a cui lentamente mi stavo abituando?
Mi sbagliavo.
Quasi per caso, senza nessuna necessità, o forse semplicemente per fare qualcosa di diverso, decisi di osservare la vetrina del negozio della Sisley. A quel tempo era ancora in Corso Palestro, e, dopo essere stato attratto da una berretta in vetrina, entrai, giusto per togliermi lo sfizio di valutarne la qualità.
Non che non ne avessi bisogno – dato che portando il gel non ne vedevo una grande utilità – ma ne approfittai per staccare per qualche minuto da quel mio vagare senza meta.
La solita gentilissima e stressante commessa mi accolse, riproponendomi una delle solite frasi sul tempo per rompere il ghiaccio. Esordii indicando la vetrina ed esprimendo la mia volontà a provare quel copricapo, non prima di aver elargito uno dei miei consueti sorrisi.
Caspita, non era affatto male, e sembrava anche riscaldare decisamente. Passai in rassegna tutti i colori presenti nel negozio, e, a quell’iniziale apatia, si sostituì ben presto la soddisfazione per aver trovato un qualcosa di finalmente utile. Decisi quindi di provarla e mi diressi verso i camerini. Non che dovessi spogliarmi, ma, data la quantità di gel che avevo in testa, preferivo essere appartato per evitare di mostrarmi in pubblico nel momento in cui me la sarei tolta. Il mio ciuffo schiacciato, infatti, non rappresentava certamente uno dei miei punti di forza, e necessitava di un’attenta sistemazione. Solo una volta non me ero preoccupato: ero a casa di mio zio e il suo “sembra che ti abbia leccato in testa una mucca” risuonava ancora nella mia testa, convincendomi ad optare per una area appartata.
Anche addosso non era veramente niente male. Mi specchiavo soddisfatto ed ero sempre più convinto dell’acquisto. Felice del risultato, mi decisi ad uscire dal camerino, in modo da avere più specchi. Prendendo confidenza con il nuovo look, iniziai a fare smorfie e pose imbarazzanti, fino ad essere distratto da alcune parole: – Ti sta molto bene. Fossi in te la comprerei. –
Queste frasi, pronunciate da una voce angelica, mi fecero tornare sulla terra. Mi spostai leggermente, e vidi riflessa dallo specchio una sagoma che pareva osservarmi. Mi girai di scatto e mi trovai di fronte lei: quella che mi avrebbe tolto il sonno nelle settimane successive.
Bellissima come poche, alta come una modella e un sorriso da mozzare il fiato. Rimasi come imbambolato ad ammirare i suoi capelli biondi, lucenti, che scendevano, fatti a boccoli, incorniciando un viso chiaro, caratterizzato da due occhioni verdi e un sorriso rassicurante.
– Mi piace come ti sta. – Mi ripetè.
– Ma parli con me?
– Con chi dovrei parlare? – mi rispose sorridendo.
Sapete, non capita spesso che una ragazza del genere si metta a parlare tranquillamente con voi. A chi non capita di prendere un pullman e trovarsi una topolona che si siede vicino e inizia a fare apprezzamenti sul modo di vestire?
Iniziammo a parlare, in un modo sorprendente. Mi accorsi che non era solamente bella, ma decisamente intelligente. La cosa che mi colpii di più, però, fu la mia loqualità, inaspettata, e il ricco ventaglio di batture che riuscivo a proporre, con una velocità che non mi apparteneva. Lei rideva, e ad ogni sorriso una parte del mio cuore sembrava ricevere una scossa.
Studentessa, era a Brescia per trovare i parenti, dato che il padre trent’anni prima era volato in Germania, in cerca di fortuna. Conobbe la madre in gita a Bielefield – una città che ho scoperto solo poi, grazie a Wikipedia – dove si sarebbero sposati, avrebbero costruito casa, e dove da lì a breve sarebbe arrivata anche Michelle, la loro prima figlia. La loro prima bellissima figlia.
Ed eravamo lì, a dialogare amabilmente, tra le battute sul loro cibo e la mia imitazione della Merkel. Sembrava tutto meraviglioso e che nulla potesse rovinare quell’idilliaco momento, quando arrivò l’imprevedibile.
Una cosa le fece cambiare lo sguardo. Si scusò e inizio a cercare in borsa. Era il suo cellulare che, messo nella modalità silenziosa, le mostrava qualcuno che stava provando ripetutamente a chiamarla. Rispose, iniziando a parlare con un accento che fece sparire tutta la poesia. Nonostante sembrava stesse insultando l’interlocutore, era tranquilla, appena preoccupata della conversazione. Mi stavo domandavo come suonassero le poesie in tedesco e pensai di chiederglielo, ma non feci in tempo, perchè dopo pochi secondi al telefono mi disse che c’era un problema e che doveva scappare. Non prima però di scusarsi, prendendo e accarezzando la mia mano.
Ancora oggi mi chiedo come diavolo abbia potuto permettere che se ne andasse dalla mia vista senza neanche chiederle un numero di telefono, dove vivesse, cosa facesse… Non dico proporle un’uscita, ma almeno sapere il suo nome per cercarla su facebook, o un contatto per Skype…
Niente. Fermo immobile nel negozio a pensare come avevo sprecato la mia grande possibilità. Decisi di uscire e pagare quella berretta, che nel frattempo non mi ero tolto per tutto il tempo. Iniziai ad annusarmi, per accertarmi che non fosse andata a causa del mio odore. Non mi sembrava. Interruppi comunque quando capii di essere osservato da una signora. – Che buon odore! – dissi a voce alta, dirigendomi verso la cassa.
Non avevo voglia neanche di rientrare nel camerino, quindi dissi alla commessa che preferivo tenere addosso la cuffia. Chinai dunque la testa per farle prendere il codice a barre.
Passeggiai 3-4 chilometri per la città, pensando a come avessi potuto ritrovare quella ragazza, che, nel frattempo, non riuscivo a togliermi dalla testa.
Le notti seguenti feci sogni strani, quasi tutti in un finto tedesco, e a lavoro ero più distratto del solito. Quando dovetti cucinarmi da solo e misi lo zucchero, nella pasta, al posto del sale, capii che bisognava fare qualcosa, e puntai direttamente sull’artiglieria pesante.
Contattai Gio, un amico che conoscevo da pochi mesi, ma che aveva il grande vantaggio di avere come amici un numero imbarazzante di persone, oltre ad una parte importante delle ragazze più carine di Brescia e provincia. Gli spiegai la situazione, e gli chiesi di aiutarmi a trovare questa ragazza, convincendolo a chiedere in giro se qualcuno fosse a conoscenza della sua esistenza. Mi richiamò dopo due giorni, con informazioni poco entusiasmanti.
La sera dopo avevo appuntamento con Gianluca, che di ragazze se ne intende. Speravo che almeno lui potesse darmi una mano.
– Cioè, tu hai conosciuto una tipa e vorresti ritrovarla in mezzo a più di un milione di abitanti? Potrebbe essere ovunque, magari è già ripartita – furono le sue prime parole, dopo avergli spiegato per bene la situazione.
– Ho capito, so che ho sbagliato, ma adesso cosa posso fare? Pensavo di mettere degli annunci in giro… – la mia risposta.
– Vuoi fare colpo su quella ragazza o avere una denuncia per stalking? Qualche tempo fa un tizio aveva conosciuto una ragazza sulla metropolitana e decise di farle un disegno che poi diffuse in rete, chiedendo aiuto affinchè potesse ritrovarla. –
– Geniale! Potrei provare la stessa cosa. – dissi con entusiasmo, ma lui non sembrava della stessa opinione.
– Non è facile, e poi i tizi si sono lasciati dopo poco… Pensa un attimo, possibile che non ti venga in mente niente. Non aveva con sè qualcosa che possa suggerirti che tipo di persona sia? –
– Ma no, niente… Che cosa vuoi che avesse. Era vestita bene, aveva una borsa… –
– E cosa c’era dentro quella borsa? –
– Ma niente… Il cellulare, una sciarpa, credo dei libri. –
– Dei libri? E che libri erano? –
– Erano in tedesco, cosa vuoi che capissi… Però erano dell’università, su questo ne sono sicuro. –
Lo vidi sempre più pensieroso, e alla fine se ne uscì soddisfatto con l’idea che aveva elaborato: – E secondo te perchè una ragazza che è dai parenti va in giro con dei libri nella borsa? – mi domandò a bruciapelo.
– Forse perchè studia? – risposi ironicamente.
– E perchè non li lascia a casa? – mi domandò, sorridendo ed esibendosi come un pavone.
– Cioè, tu vuoi dire che… – Esatto! Tedesche o italiane… sono uguali! Aveva per caso anche un fermaglio per i capelli? – Beh, mi sembra di sì, a forma di fiore. –
Risposi quasi preoccupato, sicuro che stavo per ascoltare il CVD alla dimostrazione della sua teoria.
– Allora sicuramente è una di quelle che frequenta le biblioteche. Sei fortunato, non ce ne sono tante a Brescia. Se vuoi trovarla basta andare là. –
Gianluca è così, e nonostante sembrasse un’idea balzana, conoscendolo sapevo che poteva veramente avere ragione. Sorrisi e lo ringraziai per i suoi consigli, preziosi come sempre, e preparai insieme a lui il piano di battaglia.
Mi appostai davanti alla Queriniana la mattina successiva all’alba, ma niente. “Per studiare dovrà pure entrare?” mi ripetevo, stringendo a me uno zaino con dei vecchi libri dell’università. “Farò finta di studiare” pensavo, “e dopo averle illustrato un po’ di psicologi la inviterò a pranzo.”
Il piano non era male, ma non fu proficuo, dato che per tutta la mattina in quella porta che continuavo a fissare entrò e uscì di tutto, ad eccezione della persona che stavo aspettavo. Ok, c’erano altri posti a Brescia, ma non so perchè, a pelle ero convinto che avrebbe optato per quello.
Aspettai e feci passare anche il pomeriggio, ma niente. Nel frattempo c’era chi iniziava a preoccuparsi del fatto che facessi la guardia da diverse ore. Dato il periodo di preoccupazione generale, scelsi di rinviare a nuova data, anche perchè mi convinsi che non avrebbe mai iniziato a studiare nel pomeriggio. Mi presentai la mattina seguente, con un look leggermente diverso, giusto per mettere almeno il dubbio che non fossi lo stesso del giorno prima, ai titolari e ai commessi dei negozi lungo via Mazzini.
Il risultato fu veramente pessimo.
– Ma tu non hai proprio nulla da fare? – Mi sentii rivolgere alle spalle. Mi girai di scatto e ritrovai Fabio. – Stai ancora cazzeggiando allegramente? – Mi domandò incuriosito.
– Ma tu – gli chiesi – non sei proprio capace di farti i… –
Stavo terminando la frase, particolarmente alterato, quando realizzai che alla fine aveva anche ragione, e, dato che sembrava esserci rimasto male, decisi di invitarlo a colazione, giusto per farmi perdonare per quella aggressività gratuita.
Quando pensi che non possa andare peggio, la cosa positiva è che la vita ti sorprende sempre, dato che, oltre a non aver ritrovato Michelle, mi ritrovavo in pieno centro con il mio nuovo amico, che, in venti minuti, la cosa più normale che abbia fatto è stato il provare a bere il suo succo con il naso.
‘Che vita’ pensavo tra me e me, mentre attorno la gente ci guardava. Quando andava bene erano sguardi incuriositi, nel resto del tempo scorgevo espressioni innorridite.
Ma andava bene così. Dopotutto me la ero cercata. Come puoi pensare di ritrovare una ragazza che hai visto solamente una volta in una città come Brescia?
Stavo fissando come Fabio destreggiasse quel cucchiaino, quando, ad un certo punto, come un fulmine a ciel sereno, fui nuovamente sorpreso, per la seconda volta quella mattina:
– L’hai comprata alla fine quella berretta? –
Mi voltai prontamente a destra, ed era lì. Se possibile ancora più bella dell’altra volta, con un cappotto bianco e la solita borsa. Mi sorrideva e, questa volta finalmente deciso, non persi tempo e presi l’iniziativa, alzandomi e dirigendomi verso di lei.
– ciao, anche tu da queste parti? – esordii soddisfatto.
– Eh sì, mi capita spesso di fare due passi in città, mia nonna dista dieci minuti da qui a piedi –
Era bellissimo sentirla parlare ancora una volta; ferma immobile davanti a me, mi ritrovai a fissarle imbambolato le labbra, distratto dal suono delle sue parole e da quel simpatico accento, chiaramente straniero.
Si accorse di questo mio disagio, e sembrò quasi piacerle. Apprezzando il fatto che non volesse interrompere la conversazione, la ascoltai proseguire:
– Anche a me capita spesso di venire in questa zona a fare colazione, ma i miei amici sono meno simpatici dei tuoi –
Disse queste parole sorridendo, ma io rabbrividii, completamente spiazzato. Realizzai che si riferiva a Fabio, che, dietro di me, avevo paura di guardare, temendo cosa potesse fare.
Mi girai e lo vidi lì, beato a sorridere e salutare vistosamente la sua nuova amica.
Un po’ preoccupato superai l’impasse e, un po’ per educazione, e un po’ per necessità, la invitai ad aggiungersi a noi. In realtà a quel ragazzo seduto a fianco avevo brevemente spiegato il motivo del mio girovagare per la città, e temevo che questo si potesse rivolgere contro.
Andò bene.
Quasi.
Michelle rise quando le fu chiesto se fosse la mia ragazza, e iniziò a raccontarci tante cose che mi interessavano e che catturarono la nostra attenzione. Mi piaceva il modo in cui ci guardavamo e il fatto che in poco tempo si fosse formato un così bel clima. La grande paura per quello che Fabio avrebbe potuto dire si trasformò ben presto in una piacevole sorpresa, dato che mi accorsi non solo che la situazione dopotutto non era così male, ma che anzi questo nuovo amico si comportava quasi come una spalla, ottima per darmi modo di conoscerla, proponendo le mie battute. I suoi interventi erano simpatici e, a parte qualche descrizione sui suoi amici – e i vari apprezzamenti alle gambe che si sarebbe potuto risparmiare – si limitò ad ascoltare, dialogando amabilmente con noi.
In realtà la cosa che mi colpì di più di lui fu l’intelligenza con la quale, dopo una quindicina di minuti, mi ringraziò per la colazione e si congedò, motivando che aveva molto da fare. Al mio stupore si sostituì ammirazione, almeno fino a quando non si rivolse verso me con un occhiolino malizioso che non lasciava adito a molte interpretazioni.
Ma anche di questo Michelle sorrise, e fu lo spunto per prendere coraggio e invitarla a cena.
– Scusa, ma perchè invece di invitarla a cena non avete fatto una passeggiata per Brescia? – mi chiese Gianluca, interrompendo il mio racconto.
– Perchè eravamo arrivati all’ora di pranzo e doveva tornare a casa. Nel pomeriggio, da quel che ho capito, era impegnata; quindi la cosa più intelligente mi è sembrata quella di optare per la sera –
– Ok, d’accordo. Adesso sono le 16 e hai dunque ancora qualche ora, mi spieghi perchè ci hai chiamato con urgenza? – la sua risposta.
– Hai bisogno di un suggerimento su come vestirti? Mica sei una ragazza… un paio di Jeans e tanta fortuna. Eviterei un po’ di gel così sei sicuro di non abbattere uccelli – sorrise Gio, alludendo alla mia cresta.
– No ragazzi, vi ho chiamato perchè ho bisogno di voi. Immaginatevi un attimo la situazione: va tutto a meraviglia, finalmente ritrovo la mia bella, siamo insieme seduti a un tavolo a fare colazione in un bar… –
– E… – incalzarono entrambi. – e ho avuto paura di rovinare tutto. Non me lo sono sentita di invitarla a uscire con me. –
– Ma se ci hai appena detto che questa sera la vedi?!? –
– Sì, ma nel dubbio ho scelto di invitarla dicendole che avrei visto dei miei amici e avrebbe così conosciuto qualcuno di Brescia. Sapete, per quando tornerà la prossima volta –
– Ma scusa un attimo, il tuo obiettivo è quello di migliorare le sue relazioni italiane o quello di fartela? Scusa ma non riesco a seguirti. – Gio non capiva più la situazione. Mi guardò esterrefatto e si alzò in piedi.
Gio, diminutivo di Giovanni, ha la stessa età di Gianluca; si sono conosciuti da piccoli e hanno condiviso parecchi momenti della propria vita. A differenza sua, però, è sempre stato molto diretto nei rapporti, rimproverandomi l’eccessiva incertezza.
– Le donne vogliono la stessa identica cosa che vuoi tu. È solo un gioco delle parti. Non esiste al mondo una sola donna che tu non possa raggiungere, ma devi lavorare bene. Due cose, solamente due cose e avrai tutte le donne del mondo: loro hanno bisogno di amore e protezione. Basta, non vogliono altro. Se riesci a dare veramente queste due cose, saranno tue. Fidati di me.
Negli anni le sue tecniche hanno sempre funzionato, anche se il suo carattere un po’ burbero non lo ha di certo aiutato ad avere altrettanto successo anche nel mantenerle a sè, ed è stato quindi sempre costretto a ricominciare da capo. Nonostante i suoi difetti, però, è veramente una persona su cui si può contare. Vestito sempre bene e con una bella dialettica, in più occasioni mi ha aiutato nel risolvere situazioni spinose.
Si rivolse verso Gianluca, sorridendo vistosamente: – è il tuo turno. L’ultima volta sono andato io ad accompagnarla con quella tizia. Ricordi la psicopatica che recitava Freud? La sua amica dopo due bicchieri ha iniziato a raccontarmi la storia dei Borboni in Italia. Non c’era verso di farla stare zitta, e alla fine ci hanno salutato perché quel furbo ha ricominciato a parlare della sua ex. –
Il furbo ero io, mentre la ex era Gloria, ma questa è un’altra storia.
– A me non interessa chi venga, scegliete voi. Naturalmente dovete portarvi anche una ragazza. Dobbiamo essere in quattro, a meno che non vogliate mantenere una candela in mano… –
– Ragazzi, io questa sera non posso, sono impegnato. Gio, tocca a te, dopotutto io l’ho già aiutato a fargliela ritrovare… –
– Bell’aiuto che gli hai dato. Perché non gli hai fornito anche una sedia, invece di farlo stare in piedi. Ancora un po’ e rischiava l’arresto per essere rimasto due giorni imbambolato davanti ad un luogo pubblico –
– Beh, almeno non l’ho aiutato limitandomi a sfogliare l’elenco telefonico… E’ grazie a me che adesso è tutto euforico all’idea di rivedere la sua bella. Fosse per te starebbe ancora a disegnarla sui fogliettini mentre si dispera al telefono.
Anche quella volta fu il turno di Gio, dato che Gianluca era impegnato in una cena con Elisa in un palazzo del centro.
La scelta ricadde su un localino in via Beccaria, naturalmente su suggerimento di Gio, che, al motto “per una ragazza di classe ci vuole un locale di classe”, diede vita a tutte le sue conoscenze culinarie, scegliendo un Gewurztraminer d’annata per bagnare tutti i succulenti piatti. In quell’ambiente così raffinato sembrava veramente a suo agio, forte del fatto di conoscere e saper ben descrivere tutti gli ingredienti e i piatti presenti nel menu. A suo vantaggio c’era anche il fatto di essere ben voluto dai camerieri, che vidi rallegrarsi in volto una volta superata la soglia d’ingresso.
E’ imbarazzante il numero di storielle che riuscì a tirare fuori, in sole tre ore, per rallegrare le due donzelle, che rispondevano pronte alle sue battute. Per l’occasione scelse Nadia, una deliziosa studentessa di Filosofia a Verona, che seppe rompere subito il ghiaccio grazie alla sua loquacità, che ebbe il merito di attirarsi la simpatia di Michelle.
– Caro mio, sei in ottime mani! – mi disse quando le due ragazze erano andate in bagno.
Anche io ero veramente in serata, e con l’alzarsi del tasso alcolico crebbero anche le mie battute, che esplosero più volte in un boato di divertimento.
La serata procedeva meravigliosamente, cosciente del fatto che il meglio dovesse ancora arrivare.
Michelle rispondeva a tutte le domande che i commensali le rivolgevano, non solo partecipando, ma divertendosi nel raccontare i vari aneddoti che portava dal suo paese.
La serata si concluse oltre le 23, con la super uscita di Gio a chiudere ufficialmente la serata: – Non potevi che trovarti bene con noi, dopotutto siamo nella città romana e una ragazza della Germania non può proprio trovarsi male oggi a Roma, con un Papa tedesco e il sindaco Alemanno. –
Con questa battuta, che dovetti poi spiegare a Michelle – dato che non aveva idea su chi fosse Gianni Alemanno – i due ci salutarono, con la speranza di poter presto riproporre una serata così piacevole.
Tutto era andato bene, anche se il mio portafogli era molto più leggevo. Ma ci stava. Nonostante il mio basso stipendio, ero felice di aver trascorso una bella serata che, da lì a poco, sarebbe diventata meravigliosa.
Nonostante temessi che tutto volgesse al termine, Michelle mi chiese di poter apprezzare le bellezze della città e iniziammo una passeggiata. Camminammo a lungo, fermandoci ad osservare tutte le cose che Gianluca mi aveva più volte raccontato e che adesso pavoneggiavo come mie a suoi meravigliosi occhi. Mentre scorrevano ai nostri lati le rovine della città romana non potevo che rimanere affascinato dalla sua presenza e dal meraviglioso modo in cui era vestita. Per la serata aveva scelto un vestitino verde pastello attillato, che lasciava veramente poco alla fantasia, e che aveva il punto di forza nell’ampio scollo, sapientemente nascosto da una pashmina avvolta attorno al collo.
Quel tessuto, così morbido, scendeva lungo i suoi fianchi, ad esaltare le sue meravigliose curve che sfociavano in un grazioso sedere, su cui avrei molto volentieri praticato Body Sushi in centro a Tokyo.
Ai piedi dei tacchi alti, che non le impedivano però di passeggiare con tranquillità.
– Sto bene con te, mi fai veramente divertire – le sue parole davanti al Tempio Capitolino.
– È reciproco, e non mi sarei aspettato, quando ti ho visto la prima volta dentro quel negozio, che fossi così simpatica –
Al mio sorriso si allineò il suo, e presi finalmente coraggio. Mi sbilanciai verso di lei e, attento che non si scostasse, fissai assorto le sue labbre, fino ad appoggiarvici le mie. Ad un primo leggero e dolce bacio seguì un secondo, sempre con maggiore passione, e poi un terzo. Lei, inizialmente ferma – con conseguente gelamento del mio sangue – mi guardò negli occhi, quasi sorpresa, e, sorridendomi, rispose alle mie attenzioni.
Il mio labbro inferiore accarezzava dolcemente il suo, mentre con la lingua sfioravo delicatamente il superiore. Una sensazione intensa che stavo apprezzando nella sua dolcezza, quando ancora una volta fummo interrotti dal suo cellulare.
– Ma ti stai frequentando con una spia? – mi domandò Gianluca – Perché diavolo deve rispondere ogni volta? Chi la chiama? –
– Non lo so, veramente. Inizia a parlare in tedesco e non so che diavolo dica. Sta di fatto che ancora una volta mi ha ringraziato della meravigliosa serata e se ne è andata. –
– Robe da matti – intervenne Gio – ma tutte tu te le trovi? Hai provato a chiamarla oggi? –
Abbassai lo sguardo. – Non ci credo – sbraitò, alzandosi in piedi – hai speso 60 euro per una tipa e non le hai chiesto il numero di telefono? –
– Le ho dato il mio, lì per lì non pensavo servisse altro – la mia risposta.
Intervenne ancora Gianluca: – ma se non vuoi essere scocciato cosa fai? Chiedi il numero e dici che poi chiamerai. Ma, pensa un po’, non lo fai. –
– Caspita, si vedeva che stavi giocando bene, che cosa ti costava?!? – lo appoggiò Gio.
– Mi chiamerà, ne sono sicuro –
Passavano le ore, ma niente. Ancora un volta fermo inerme ad aspettarla.
La telefonata non arrivo, ma giunse un SMS: “Ciao, ti scrivo dal numero di mia nonna. Ho bisogno di vederti questo pomeriggio. Davanti a Sisley alle 16”.
- Beh, male che vada puoi chiedere di uscire alla nonna – la risposta di Gianluca, fuori dall’università di Ingegneria. – Sei sicuro che non sia qualcuno che ti scrive da qualche bagno dell’autostrada? Sai quella volta che hai fatto arrabbiare Gio… –
- Tranquillo, è lei. Finalmente tra due ore ci rivedremo –
Quando la incontrai, quel pomeriggio, non avrei mai pensato che sarebbe stata per l’ultima volta. Lei, questa volta in T-shirt, Jeans a vita bassa e Converse, era molto più sportiva, e dal suo sguardo si capiva che c’era qualcosa che non andava.
Ci facemmo la nostra solita passeggiata in centro, interrotta solo dall’acquisto di un gelato e dalla visione di qualche vetrina.
- Devo tornare in Germania – improvvisamente mi disse, divenendo seria e fissandomi negli occhi. – Non sono stata del tutto onesta con te. Ho scelto di venire da mia nonna perché due settimane fa ho avuto un duro scontro con mia madre. Pensavo che scappare avrebbe rappresentato la soluzione migliore, ma alla fine mia nonna ha dovuto ammettere la mia presenza, intenerita dalla preoccupazione dei miei. Non so se ti è mai successo di non essere compreso. Io non ce la facevo più e ho scelto di scappare.
- Certo che ti capisco, ma cosa ne sarà di noi?
Divenne scura in volto. – Io non credo molto alle storie a distanza, ma se vorrai in futuro ti potrò fare da cicerone. Hai mai visto la Germania? –
Sorrisi, ma nei miei occhi c’era solamente tristezza.
– Non l’ho mai vista, ma credo che mi farebbe più male che bene. Siamo dunque arrivati alla conclusione? –
– Non ci sarai mai una conclusione, perché ti porterò con me. E poi, mai dire mai… Magari un giorno le cose saranno diverse –
– Ma perché domani? Io dopotutto ho finito l’università, potremmo provarci…
– Non te lo chiederei mai, ed è giusto che questa esperienza, per quanto meravigliosa sia, non abbia seguito. Io ho la mia vita in Germania, mentre la tua è qui… Solo una cosa ti chiedo: dato che riparto domani, vorrei portare con me una cosa che mi faccia tornare in mente te.
Andammo nuovamente nel negozio in cui ci eravamo conosciuti e iniziò a cercare con veemenza, spostando tutte le magliette nei vari colori.
Alla fine la sua ricerca fu premiata, dato che si girò verso di me con in mano un dolcevita rosso.
– Riporterò questo a Bielefield – disse con soddisfazione – e ogni volta che la indosserò penserò a te –
Mi convinsi a fare lo stesso acquisto, soddisfatto dal romanticismo dell’idea, anche se ancora deluso e perplesso in merito alla decisione.
Ed ero ancora lì, fermo davanti allo specchio – questa volta senza berretto – mentre quella ragazza che tanto desideravo si stava provando una maglietta che avrebbe rappresentato la fine di quella breve conoscenza, che non poteva neanche essere definita relazione.
Non ce la facevo ad assistere inerme di fronte a quella pazzia, e non riuscivo più a reggere lo stress. Mi voltai e realizzai che, essendo un mercoledì pomeriggio, non c’era praticamente nessuno nel negozio.
Mi feci coraggio e, spinto non so ancora da cosa, andai verso di lei. Spostai con impeto la tenda del suo camerino. Sbagliai: non c’era nessuno. Mi accertai su dove fosse e spostai la tenda giusta. Entrai e la richiusi dietro di me.
Me la trovai in reggiseno, sorpresa e subito soddisfatta di quel gesto, tanto folle quanto romantico. Mi buttai su di lei e iniziai a baciarla appassionatamente. Non riuscivo a comprendere come tutto quello potesse finire, ed ero confuso. Distrutto dentro, ero sul punto di piangere mentre le slacciavo il reggiseno e la leccavo con ingordigia, mentre lei era impegnata a sbottonarmi delicatamente i bottoni dei Jeans.
Ogni tanto ripenso a quella scena, all’imbarazzo che regnava quando siamo usciti da quel camerino, allo sguardo compiaciuto di quella commessa e al ciuffo che mi osservai riflesso, storto e inclinato verso di lei, che, rivestita e rossa in volto, mi prese per mano, accompagnandomi fuori dal negozio.
Quella maglietta acquistata non l’ho mai indossata. Primo perché, non avendola provata, è di una taglia sbagliata, e, secondo, perché ogni tanto adoro tirarla fuori, metterla sul letto, e ricordare quei pochi giochi di febbraio, in cui il mio cuore dopo tanto tempo, anche se per poco, aveva finalmente ricominciato a battere.