Il 2020 che è appena finito verrà ricordato sicuramente come uno degli anni più tristi dell’età contemporanea. Una pandemia globale, seppur paventata da scienziati e già anticipata da virus simili, non era nell’immaginario della maggior parte della popolazione (e purtroppo – colpevolmente – neanche nelle agende di qualche politico). Scrutavamo il cielo temendo corpi che piovessero giù, senza considerare che la più probabile minaccia fosse già presente sul nostro pianeta. L’impatto è stato forte, ma ha colpito soprattutto la reazione che abbiamo avuto. Tolto il cappellino del c.t. – con gli Europei rimandati – e deposta la laurea in ingegneria – completato il ponte di Genova – è stato il momento di professarci virologi, con mirabolanti previsioni e spiegazioni da parte di chicchessia.
Abbiamo potuto ammirare l’evoluzione di un ventaglio articolato di forme di negazionismo, scoprendo che i terrapiattisti, nuovamente così presenti sul globo (…), in pochi mesi avrebbero trovato nuove argomentazioni, dividendosi/fondendosi con nuove posizioni, con il risultato comune di mettere in dubbio le basi della nostra civiltà tecnologica. Negare il risultato di secoli di ricerca e di Scienza equivale a mettere in dubbio non solo il nostro presente, ma anche, e soprattutto, il nostro futuro. In questo, purtroppo, non sono stati i soli, dato che altri elementi hanno contribuito ad alimentare un fuoco già divampato. E non si parla della linea non comune tra medici – dato che il confronto è sempre positivo e ci spinge a mettere in dubbio e migliorare il nostro pensiero – quanto del comportamento, divenuto ahinoi sempre più diffuso, di contrapporre opinioni a fatti. “La ricerca dice questo, ma secondo me…”, “non stanno considerando questo aspetto”, “dietro a queste decisioni ci sono motivi diversi…” sono tutte affermazioni divenute comuni, portandoci a commettere l’errore più grande: il non dare più peso alle fonti.
Questa colpa non è ascrivibile solamente a pensionati annoiati, come spesso ci piace credere, ma a come questa fase così grave della nostra storia sarà ricordata: le indicazioni sul comportamento da tenere che cambiavano ad una velocità inferiore solamente alla penna di Conte, Istituti posti a capo di provvedimenti politici ed esposti pubblicamente alla responsabilità di decisioni fondamentali per l’economia nazionale, Stati Uniti che tacciano l’OMS di essere divenuto uno strumento politicizzato, per poi scoprire report tenuti nascosti per proteggere gravi inadempienze.
Cosa è oggi la tecnologia? Un termine per sperare nel domani e per convincere i giovani ad avvicinarsi alle materie scientifiche? O è qualcosa in cui realmente crediamo? E come possono i giovani dedicare la propria vita alla ricerca, se riecheggia il tarlo di una domanda più alta, ovvero come credere in qualcosa che ha pericolosamente a capo anche interessi non chiari?
Oggi la tecnologia ci fa paura.
I nostri dati sono gestiti da aziende che possiedono un numero incalcolabile di nostre informazioni; pensavamo che potessero influenzare i nostri acquisti, ma abbiamo scoperto che possono fare molto di più: far cadere un governo o far scoppiare una rivolta, persino far uscire un paese dall’Europa. Consideriamo Amazon il principale responsabile della distruzione dell’artigianato locale e dei negozietti in centro che creano l’anima delle nostre città. Ci riferiamo ai Big Data come se stessimo parlando di ministri legiferanti, senza ricordare che siamo noi stessi a dettare le regole.
Poi, ripensando all’anno passato, dobbiamo annoverare la feroce discussione sul clima dei primi mesi, quando, per la prima volta, abbiamo iniziato ad accettare l’inesistenza di un piano B. All’ormai eterno racconto di una tecnologia che ci avrebbe salvati, si è sostituita una visione meno ottimista, abbiamo iniziato a dubitare. L’ingegneria questa volta non tirerà fuori dal cilindro la soluzione, la Fisica ha i suoi problemi e non ci darà una mano, la temperatura continuerà inevitabilmente ad aumentare. L’unica possibilità è tornare indietro, perché il progresso che abbiamo tanto sostenuto ci ha lasciato a piedi. Abbiamo costruito un razzo dal quale non possiamo più scendere e che non abbiamo modo di fermare.
Forse allora anche altre cose erano errate. Forse ha ragione il tipo che dice che sbagliamo a vaccinarci, potrebbe essere un modo per estinguerci quasi tutti. Dopotutto, se fossimo pochi sulla terra, il problema si risolverebbe. Aveva ragione Thanos… Ma allora è vero anche che la terra è piatta, dopotutto perché nessuno ci mostra cosa c’è sopra l’Antartide? E perché se prendo un metro dritto e lo poggio per terra aderisce perfettamente al terreno?
Forse è il momento di fermarci tutti. E’ arrivato il tempo in cui iniziare a prendere le proprie responsabilità, che la smettiamo di postare articoli di siti mai sentiti nominare e ricominciamo ad aprire un buon libro. Che i politici smettano di penalizzare la ricerca, ricordandola solo quando serve. Che ogni professionista prenda coscienza del proprio impegno civile. Che i principali Istituti pongano l’Uomo al centro di tutto.
Basta al pensare al politically correct, in cui devo anteporre opinioni diverse, anche se una di queste è palesemente falsa, sbugiardata da secoli di conoscenza. Basta al consentire una polarizzazione, per cui se apri il computer con una leggera predisposizione di opinione ti ritrovi ad essere un esaltato, aizzato da presunti documenti che ti convincono su quello che stai cercando, qualsiasi cosa sia. E basta, una volta per tutte, al denigrare e andar contro la scuola, unica salvezza a questa situazione.
E’ difficile spiegare ai ragazzi cosa sia la tecnologia, se siamo i primi ad aver smesso di crederci.
Ecco cosa aspettarsi dal 2021: che tutti torniamo a fare nel migliore dei modi la nostra parte, ad avere fiducia nel prossimo e in quello che insieme possiamo costruire.