L’es(p)ortazione della democrazia

Immerso nella visione di un film, arriva sul cellulare la notifica di una notizia. Cosa è successo a quest’ora? Traslo il dito sul display e mi ritrovo un vichingo con i colori americani stravaccato al Congresso, con l’atteggiamento di chi ha appena concluso una guerra. Mi ricompongo sul divano e mi accerto di non aver per sbaglio aperto Netflix. Sarà il trailer di una prossima serie e non è neanche male, aspetta che la metto in lista. Poi controllo bene e per alcuni secondi rimango perplesso. Sarà una fake news. Non lo è. Sarà successo in qualche paese del terzo mondo. No. E’ successo negli Stati Uniti, quella nazione che ha ormai brandizzato il proprio motto di ‘esportare la democrazia’, un modo gentile per edulcorare i bombardamenti effettuati qua e là sul pianeta.

Il capolavoro si cela però ancora una volta nei dettagli: si era al corrente che sarebbe potuto succedere, dato che l’uomo (almeno fino a quella sera) più potente del mondo aveva inneggiato quasi alla rivoluzione. Quest’odio, alimentato dalla feroce campagna elettorale, prima o poi avrebbe potuto portare a qualcosa di brutto. E il problema sono i morti, i feriti; immagino madri e congiunti chiamati al cellulare per informare che il proprio familiare è rimasto colpito, qualcuno mentre lavorava. Una vera e propria tragedia, dovuta ad una rivolta nei confronti del voto popolare, di presunti brogli o di ancora qualcosa d’altro, non è chiaro. Speriamo di aver già visto il peggio, anche se ad attanagliare è il dubbio già espresso dai più: cosa sarebbe successo se a fare invasione non fossero stati suprematisti bianchi armati, bensì uomini di colore a difesa dei loro diritti?

Nel mondo è presente la guerra in molti più stati di quanti pensiamo. Ci si rivolta contro dittature, governi militari o estremisti, ma dalla nostra parte, quella del mondo ‘occidentalizzato’, l’America non è l’unico Paese che chiede un uomo forte al potere. La stessa situazione l’abbiamo in Europa, oggi un po’ meno evidente data la pandemia e i diversi problemi connessi. Che poi il termine ‘populismo’ è anche contraddittorio, dato che oggi ogni nuovo partito appoggiato da una importante percentuale di elettori viene tacciato dall’establishment di essere populista, ovvero demagogico, fondato su argomentazioni ingenue, comprensibili da un popolo che non è all’altezza di valutare aspetti più complessi. Sarebbe invece opportuno prima di tutto ascoltare e dare risposte alle frustrazioni e i sentimenti collettivi e, soprattutto, analizzare la richiesta, da parte di alcuni, di avere un’unica figura forte al potere. Di fronte alla complessità della nostra economia e società si cerca di dare ordine nella maniera più semplice possibile: perché avere tante persone al potere che mangiano, quando è possibile metterne solamente una? E’ la concentrazione del rischio: se non va bene lui, al massimo lo cambiamo. Dopotutto, è meglio avere un unico politico che per mantenere il potere deve pensare ai fabbisogni di tutti, piuttosto che distribuire scelte, ove in tal caso ognuno penserà solamente ai propri interessi. Il ragionamento è un po’ come non aver voglia di pulire tutta casa e decidere di vivere in una sola stanza, posizionandoci dentro tutto. Il problema è che prima o poi capiterà di avvertire il bisogno di andare in bagno, proprio mentre si sta cucinando…

La democrazia non piace a tutti, però la libertà di espressione è un’altra cosa, su questo non si transige. “Chi sei tu per togliermi la possibilità di sfogare il mio rancore sui social, insultando qualcuno che mi capita a tiro? Certo, alcuni se la vanno a cercare, come quelli in Cina o, peggio, a Hong Kong. Se hai qualcosa da dire non andare a farlo in quei paesi, anche se è casa tua, vieni da noi. No, per dire, non venire proprio da noi, perché non è che proprio sopportiamo tutti da queste parti. Vieni qui vicino.”

Un altro paradosso è che condanniamo ogni limitazione delle nostre libertà, ma poi riteniamo normale che a decidere di sospendere gli account social di un leader politico siano società private. Qualcuno potrebbe obiettare che è un po’ meno democratica una società in cui esistono super elettori – il cui parere vale più degli altri – e che lasci perplessi sulle modalità di calcolo, ma questo è un altro discorso. Dopotutto, anche noi abbiamo i nostri problemi, dato che la nostra Costituzione – scritta anche con la supervisione di Roosevelt, che ha evitato proprio quelle situazioni – dopo essere stata un gioiellino di democrazia, a partire dagli anni ’70 ha iniziato ad essere oggetto di modifiche, non sempre esenti da interessi privati.

“Quando c’era lui le cose funzionavano meglio”, “quando c’era lui i treni arrivavano in orario” e “lui non avrebbe consentito tutto questo”… Mi sorprende la convinzione di come si pensi di conoscere così bene personaggi del passato, morti diversi anni prima della propria nascita. I racconti dei nonni sono diversi, ma forse c’è qualcuno che ha più memoria, probabilmente perché se l’è sognato da poco. Peccato che spesso sono gli stessi che durante le giornate della Memoria – quella con la M maiuscola – si lamentano di dover riascoltare ogni anno le stesse cose, contestando targhe o riconoscimenti. Il ricordo non viene fatto né per biasimare, né per santificare, ma per non dimenticarci che gli sbagli di ieri potrebbero ritornare ad essere gli errori di domani. Il primo compito di una nazione è la formazione di buoni cittadini, che riflettano prima di eleggere i politici a cui spetterà la salvaguardia di quanto di buono è stato fatto dalla nostra società.