In Italia stiamo vivendo da mesi un piccolo disastro che lentamente si sviluppa, ma ciò non sembra ancora essere stato pienamente recepito: un’intera generazione si sta permettendo il lusso di studiare da un anno a distanza e pochi sembrano interrogarsi su quelle che saranno le ripercussioni future. La scuola ha probabilmente inciso in modo significativo sulla crescita della seconda ondata, ma la colpa non è di certo imputabile alla struttura, dato che l’attenzione dell’intera comunità scolastica – i presidi in primis – è stata volta totalmente a garantire luoghi sicuri; risultato ottenuto con difficoltà e rinunce. Quello che non è chiaro è invece come ancora oggi non sia possibile organizzare, nonostante mesi di anticipo, un sistema di trasporto in grado di rispondere alle necessità. Tutto questo in una situazione in cui società di viaggio – che forse riceveranno sussidi, dato che non possono lavorare – hanno mezzi fermi che potrebbero aiutare. Una pianificazione territoriale che comprenda anche autoveicoli privati, mista ad uno scaglionamento intelligente, potrebbe consentire ad almeno una percentuale dei ragazzi (dotati ovviamente di mascherine e distanziati) di rimettere piede in classe. Le difficoltà sarebbero distribuite e il beneficio, un domani, sarà per tutti.
La scuola non è solo la costruzione di competenze, bensì, per una comunità, rappresenta molto di più: si tratta della maturazione della propria personalità, della formazione della propria coscienza civile come cittadino, di un luogo sicuro in cui fare scoperte e socializzare (aspetto per nulla irrilevante per quei ragazzi che fuori non lo potrebbero fare) e, soprattutto, costituisce l’unica reale e tangibile soluzione ad uno dei più grandi problemi della nostra nazione, ovvero il disagio socio – economico. L’istruzione è l’alternativa alle tante realtà problematiche dislocate lungo lo stivale ed è principalmente uno strumento democratico. Chi aiuterà quei ragazzi con difficoltà un domani? Non tutti avranno la possibilità di recuperare quanto perso in questi mesi tramite corsi privati, periodi di formazione o apprendistato in brillanti studi o aziende. Molti studenti – alcuni dei quali oggi si ritrovano a tentare e sforzarsi di studiare in piccoli spazi, con device obsoleti e fratelli rumorosi – in futuro non potranno prendersi un anno sabbatico, perché dovranno accettare il primo lavoro a disposizione per sopravvivere.
Chiediamo ai giovani di salvarci, ma sono stati tolti loro i mezzi per farlo. La didattica a distanza non può più rappresentare il presente di questi ragazzi. Provate a seguire per sei ore di fila lezioni al computer. Si è accettato – e tutti hanno fatto l’impossibile – proprio perché si riteneva una situazione provvisoria, ma adesso bisogna tornare a garantire il loro futuro. Lo hanno ben compreso i coraggiosi che si sono presentati come forma sovversiva al gelo fuori dagli istituti – irrisi da una parte dell’opinione pubblica e dei media – ed è ora che lo facciamo tutti. Sorridiamo mentre ci domandiamo se alla loro età avremmo mai scioperato per poter andare a scuola, ma stanno solamente chiedendo gli strumenti con cui dovranno risanare i debiti che noi avremo contratto.