Mi faccio coraggio, respiro e compongo il numero. Squilla. Dall’altra parte risponde una voce profonda. “Buon pomeriggio, sono Gianluca, un compagno di scuola di Elena. Posso parlare con sua figlia?”. ‘Compagno di scuola’, come se volessi ripassare con lei la lezione di storia, al massimo voglio parlare della nostra di storia… Ma cosa possono capirne i ragazzi di oggi di cosa significasse telefonare a casa dell’amata. Prima dei cellulari, prima di internet: se volevi qualcosa dovevi esporti, giudicato dallo sguardo minaccioso del genitore che ti apriva la porta o schernito dal sorriso beffardo dell’edicolante.
Poi sono arrivati i cellulari e, nonostante all’inizio comunicare non fosse proprio così economico, l’obiettivo prioritario si è spostato verso l’avere il suo numero. Dieci cifre – mai così importanti – da custodire gelosamente. Sapevamo a memoria i contatti di almeno una dozzina tra amici e familiari, mentre oggi ci sono quelli che, non ricordandosi il proprio numero, per dartelo devono farti uno squillo. L’optimum si raggiungeva però quando scoprivi che con la ragazza di cui eri perso avevi l’operatore telefonico in comune. Meglio ancora della musica ascoltata, vuoi mettere quanti soldi risparmiati? Si attivava la promozione giusta ed eravamo pronti per la caccia.
Poi, una mattina dell’estate del 2008 – ricordo ancora nitidamente quel giorno – per la prima volta ho sentito il termine “Facebook”. Ohibò, che roba sarà mai? In un tempo in cui tutto costava (e si faceva ben pagare), dal nulla mi ritrovo a sentir parlare amici entusiasti di quanto fosse facile organizzare una pizza, ritrovare vecchi compagni delle elementari, e, aspetto non di poco conto, quanto fosse pieno di ragazze. La diffusione è veloce, continuano a consigliarmelo e mi lascio trascinare. Inizialmente non è che ci fosse poi così tanta gente, ma rimango colpito dalla semplicità con cui si raccolgono informazioni. Non serve più andare a citofonare come Salvini ed esporsi per chiedere il numero, basta solo avere un nome. Nome e cognome e non solo ho modo di mettermi in contatto con chiunque, ma posso ricavarne le passioni e conoscerne i gusti. Qualche minuto in rete e il gioco è fatto. Ricordo bene la prima volta che mi sono cimentato con impegno in questa nuova attività. Ero rimasto colpito da questa ragazza, e, tramite amici di amici, trovo il suo account. Invio la richiesta e accetta la mia amicizia. Si entra in scena: scopro cosa le piace, lo approfondisco in rete e sono pronto per la prossima uscita di gruppo. Il suo sguardo, a metà tra il sorpreso e il compiaciuto, mi fa capire che ho fatto centro, proprio mentre sto esprimendo il desiderio di andare ad una mostra d’arte giapponese, ispirata al periodo Muromachi.
Miracoli della tecnologia, ma non ci siamo fermati qui. Siamo andati avanti.
Sono arrivate altre piattaforme – decisamente meno censurate rispetto alla più bacchettona creazione di Zuckerberg – e il Porno ha iniziato la sua età dell’Oro. E’ arrivata Tinder e con lei si sono diffuse App che partivano dal presupposto di non coltivare necessariamente solo amicizie e relazioni di lunga durata, ma di divertirsi, di vivere il tutto in maniera un po’ più effimera. Oggi organizzare un appuntamento è a prova di pollice – lo swipe right – facile come prenotare una pizza o comprare un biglietto per il cinema. Non era mai stato così semplice conoscere una persona. Senza accorgercene, ci siamo inoltre ritrovati in tasca una nuova moneta virtuale, per di più gratis: i “like”. Si capisce bene come ragazzine che ne abbiano tanti non possano, per etichetta sociale, uscire con chi non ne abbia a sufficienza, ma in breve abbiamo iniziato a soffrirne di dipendenza. Abbiamo visto maturare una vergognosa mercificazione del corpo femminile, celebrata in un’apoteosi di protesi e fondoschiena, pose innaturali e corpi fintamente perfetti, che chiunque si ritrova (senza volere) scorrendo i propri Social. Minorenni esposte pubblicamente come in un malfamato quartiere a luci rosse, disposte a molto pur di non deludere i propri apprezzamenti quotidiani. L’obiettivo è quello di diventare influencer, influenzando altri a fare altrettanto. Qualcosa in realtà sta cambiando – per fortuna, e non da oggi – anche se lentamente.
In un periodo storico in cui Pornhub, anche solamente per scherzo, si propone più volte di aiutare nazioni in difficoltà a gestire gli accessi dei propri canali istituzionali, ci sorprendono gli aggiornamenti annuali sul numero di divorzi, ancora una volta crescenti.
Ma con relazioni spesso improntate sull’apparire, assieme ad uno sbandieramento di corpi e sentimenti, stiamo vivendo l’estremo atto di un totale consumismo che ha pervaso la nostra vita. Assuefatti dalla necessità di produrre continuamente e tentati dal sesso – sparato in ogni angolo della nostra vita – spesso alla prima difficoltà scegliamo di mollare, buttando via rapporti come se fossero un cappotto non più di moda, illusi dalla grande disponibilità e possibilità di colmare quel vuoto. Progetti di vita accantonati, magari coltivati con rinunce, difficoltà, ma anche passione, preferendo il provvisorio al permanente, perché l’ignoto ci affascina e siamo oramai abituati ad un ‘tutto e subito’. E poi, parlandoci chiaramente, tua moglie non fa quei numeri che hai visto fare sul cellulare (se li fa, tienitela stretta!). Si riapre Tinder, che un po’ per noia si era scaricato senza mai cancellarlo, giusto per dare soddisfazione agli occhi, e si passa più tempo su Telegram. Non ci crediamo più, scappiamo e poi magari cambiamo anche idea, dopo aver scoperto che la tipa su Instagram di cognome fa Photoshop e ha studiato bene come fare le fotografie. Ci ritroviamo con i cocci in mano e ci sentiamo soli, mai come oggi, nonostante sia l’epoca della comunicazione. E poi, qualche volta, tra gli allergici alle regole e ai rapporti ci sono anche genitori, che dimenticano di avere su loro stessi la grande responsabilità dei figli. Perché la storia che Babbo Natale passerà due volte è vecchia, l’unica cosa che i bambini vogliono è vedere mamma e papà che si vogliono bene.
A proposito di cocci… Tra le poche cose che mi ricordo della cultura giapponese è il kintsugi, la tecnica di incollare, tramite metalli preziosi, i pezzi di ceramica di vasi che si sono rotti. Metterli a posto dà un nuovo valore all’oggetto, perché, oltre a poterlo utilizzare nuovamente, mostrerà delle cicatrici che racconteranno la sua storia. Il fatto che si usi l’oro non è un caso e sarebbe bene riscoprire questa antica tecnica.